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giovedì 1 novembre 2012

Gli U.S.A e il disarmo nucleare

 Con la sigla del trattato START (Strategic Arms Reduction Treaty) nel 1991, gli Stati Uniti e quella che era l’Unione Sovietica e diventerà la Russia di Putin, si sono impegnati a ridurre a 1550 testate nucleari a testa i loro arsenali entro il 2018. Un quantità più che sufficiente ad annichilire la popolazione di alcuni pianeti come il nostro, ma pur sempre molto inferiore alle decine di migliaia di testate in circolazione prima della firma del trattato.
In teoria il trattato dovrebbe ampliare i margini di sicurezza e ridurre un po’ l’eventualità di un impiego bellico delle testate nucleari e altrettanto in teoria dovrebbe portare a una riduzione dei costi dei rispettivi arsenali, ma come spesso accade la realtà ha preso direzioni diverse da quelle previste dalle petizioni di principio. E a proposito di petizioni di principio, è per aver confermato l’impegno statunitense nella riduzione degli armamenti nucleari che Barack Obama è stato insignito del Nobel per la Pace. È stato l’allora novello presidente a rivolgersi a una grande folla a Praga e dichiarare: “Oggi, affermo chiaramente e con convinzione l’impegno dell’America per la ricerca della pace e della sicurezza di un mondo senza armi nucleari.” Corollario di questa dottrina dovrebbe essere una strenua lotta alla proliferazione, anche se non si sono notate iniziative di contenimento dei programmi bellici di paesi alleati quali Pakistan, India e Israele. Resta solo l’accanimento contro il programma nucleare iraniano e l’impegno a ridurre le testate.
Osservando i dati contabili e l’inventario nucleare statunitense, anche su questo versante la realtà appare molto lontana dall’interpretare un sistema teso allo smantellamento e alla riduzione delle sue capacità. Il budget statunitense dedicato alle armi nucleari continua a crescere costantemente, nonostante la produzione delle testate sia terminata nel 1989 e il loro numero sia inizialmente calato al ritmo di quasi 1500 all’anno nei primi anni d’attività di smantellamento. Più di 16.000 bombe sono state smantellate e oggi ne mancano “solo” 3.500 per arrivare a quota 1.550. Il problema reale è che queste 3.500 bombe non saranno veramente smantellate e che anche tra le altre 16.000 ce n’è una buona parte che potrebbe resuscitare in breve tempo. Uno dei limiti del trattato START è che infatti manca di ogni previsione sul destino delle cariche nucleari una volta smantellati i vettori o i proiettili nei quali erano incorporati.
Non tutto il materiale fissile può essere trasformato in combustibile e bruciato nelle centrali e la sua custodia richiede comunque standard di sicurezza non molto inferiori a quelli d’obbligo per le testate pronte al lancio. La mancanza di un valido sistema di stoccaggio permanente per questo genere di sostanze ha giustificato quindi la sua permanenza nella disponibilità e nel controllo dei militari e delle agenzie e dei ministeri che hanno giurisdizione sul programma nucleare.
Dimensioni della spesa e risultanze sul campo dimostrano che il programma nucleare americano non è per nulla orientato allo spirito del disarmo, quanto semmai a trovare il modo d’impiegare qualcuna di quelle migliaia di testate, anche se non è per niente chiaro contro chi. L’Unione Sovietica non c’è più, ma le armi nucleari continuano ad essere sviluppate, ammodernate e immagazzinate a migliaia, come se nulla fosse.

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